| Una vita bio
Progetti bee-friendly
La tutela della biodiversità è un argomento cruciale, ma scomodo. Lo sanno bene gli apicoltori che si stanno scontrando da anni con la progressiva scomparsa delle api: segnale tra i primi e più evidenti da confrontare con quanto scienziati e ambientalisti affermano da decenni a proposito di ecosistemi a rischio.
Preservare la fertilità e l’equilibrio dei territori impoveriti dall’uso massiccio di trattamenti chimici e dall’inquinamento di aria e acqua è un’impresa che ha sempre più della mission impossible. Ma c’è chi non si arrende.
«Le api hanno un cervello piccolissimo ma un’articolata interazione sociale e un’incredibile capacità di relazione con l’ambiente», afferma Francesco Panella, il più noto tra gli apicoltori italiani: membro e presidente delle principali associazioni di categoria, attivo da oltre 40 anni, titolare degli Apiari degli Speziali e consulente dell’azienda biodinamica La Raia, per cui cura una produzione molto apprezzata di mieli bio.
L’oasi ambientale che include l’azienda ospita da due anni un’opera permanente realizzata dall’artista Adrien Missika: una casa-scultura per api nomadi in cerca di un riparo sicuro, a forma di piramide rovesciata in pietra di Luserna.
La pre-condizione fondamentale è qui l’applicazione rigorosa del metodo biodinamico, che garantisce vita lunga e fertile agli alveari: non si diserba con molecole erbicide, non si irrorano i nuovi e potentissimi fungicidi sistemici, non si avvelenano i campi e le vigne con i temibili insetticidi che debilitano la trasmissione neurologica di tutte le piccole forme viventi.
Altra attività bee-friendly è la ricerca, accreditata e di successo, del gruppo di progettisti capitanati dall’ingegner Gianmario Riganti che produce un nuovo tipo di alveari con il marchio PrimalBee (della BeeHelpful, primalbee.com).
«Concepiti con un’innovativa miscela di termoplastiche atossiche, creano un micro-habitat che garantisce le migliori condizioni per lo sviluppo in salute degli insetti impollinatori giallo-neri», racconta il giovane imprenditore. «Nei 12 anni di ricerche, ci siamo posti con lo sguardo dalla parte degli apicoltori, pensando fosse necessario facilitargli il lavoro e ottimizzare la produzione. Del resto, anche io passo sempre più tempo lavorando con le api e ho imparato a rispettare questa preziosa categoria di agro-allevatori. Abbiamo, così, messo a punto un progetto con un approccio che noi ingegneri chiamiamo “metodo degli elementi finiti” (acronimo inglese FEM), adottando una procedura con appositi sensori per prevedere le temperature interne ideali dell'alveare e della covata. Abbiamo scoperto che specifiche dimensioni e forme della struttura dell’alveare sono di fondamentale importanza per la regolazione del micro-clima della colonia. Poi si è trattato di selezionare il materiale giusto. Alle nostre condizioni, come dimostrano gli apiari che seguiamo da anni (anche in Israele), non serve alcun additivo chimico per salvaguardare le api da temibili parassiti come la Varroa».