| Una vita bio
Il modello svedese
Che la Svezia sia percepita, osservata e descritta come un paese all’avanguardia nella consapevolezza ecologica è un fatto. Ma osservata da vicino – come ha fatto Florance Beaugé su incarico di Le Monde Diplomatique (agosto 2017) – rivela maggiori contraddizioni, mostrando una vivacità e un coraggio da non sottovalutare. Riuscirà il suo mercato energetico a diventare carbon free entro il 2040? Difficilmente si potranno ridurre le emissioni dovute all’industria (acciaio, cellulosa, mezzi pesanti, auto) e a un high-tech così competitivo. La mobilità (incide del 45% sull’impronta ecologica) è ciò su cui puntare, sostiene Beaugè. La promessa degli agro-carburanti è però problematica e si accompagna a un aumento dell’inurbazione, delle strade a scorrimento veloce e un uso intenso dell’aereo. Il quadro energetico globale svedese dipende dall’idroelettrico (45%), dal nucleare (41%) e per una quota minore da fonti rinnovabili. Le regioni del Nord sono molto critiche sulla colonizzazione idroelettrica dei loro corsi d’acqua, il nucleare è strettamente controllato e dovrà coprire tutti i propri costi (dalla gestione delle scorie allo smantellamento delle centrali). Entro il 2020 ben 4 centrali saranno smaltite e i nuovi progetti non solo non avranno lo Stato come partner, ma dovranno essere vagliati da espressioni ad hoc di tutta la società civile. Nel frattempo altre occasioni si mostrano. Autonomia completa delle aziende di allevamento (13% delle emissioni) con la creazione di realtà in cui si produce biogas dalle deiezioni animali. «Se vogliamo ottenere risultati durevoli e una società sostenibile, la soluzione è nella natura non nelle tecnologie» sostiene l’italiano Francesco Gentili a capo dei progetti di produzione sperimentale di alghe d’acqua dolce all’Università di Umea. «Con le alghe si cattura anidride carbonica e si produce biocombustibile». Si può anche abbandonare la città e tornare nei vecchi borghi abbandonati: acqua, foreste, animali, chalet costruiti con materiali riciclabili, pompe geotermiche, verdure di stagione e pesce locale. E puntare sull’agricoltura biologica e di prossimità. «Certo i prezzi possono essere poco competitivi, ma i consumatori volentieri cambiano stile alimentare se trovano ortaggi di qualità e latte da animali non da stalla».
Giuliana Zoppis