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L'economia circolare abbassa i rifiuti
Se il 95% dei telefoni cellulari dismessi in Europa fosse raccolto e riciclato si potrebbero generare risparmi sui costi di fabbricazione pari a 1 miliardo di euro. È uno dei dati emersi dalla ricerca che il Parlamento europeo sta portando avanti da oltre due anni, “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”, per promuovere la transizione da un’economia lineare a una più circolare. Che significa: intervenire in tutte le fasi della catena del valore, dall’estrazione delle materie prime alla progettazione dei materiali e dei prodotti, dalla produzione alla distribuzione e al consumo dei beni, dai regimi di riparazione, ri-fabbricazione e riuso alla gestione e al riciclo dei rifiuti.
La comunicazione agli Stati membri indica come ne deriverebbero nuove opportunità di crescita e occupazione. Una progettazione innovativa, prodotti migliori e più resistenti, processi produttivi più efficienti ed eco-sostenibili, modelli imprenditoriali lungimiranti e i progressi tecnici per trasformare i rifiuti in risorsa concorrerebbero ad accrescere l’efficienza. Servono, però, politiche meglio interconnesse, una regolamentazione intelligente e il sostegno attivo delle attività di ricerca e innovazione. Ciò permetterebbe di sbloccare gli investimenti e attrarre i finanziamenti, incentivando nel contempo la partecipazione dei consumatori e il coinvolgimento più corposo delle imprese.
All’inizio del percorso (2014) si indicavano i seguenti obiettivi: riciclare il 70% dei rifiuti urbani e l’80% dei rifiuti d’imballaggio entro il 2030, e vietare il conferimento in discarica dei rifiuti riciclabili a partire dal 2025. Il pacchetto adottato nel dicembre 2015 ha un approccio integrato che comprende azioni per promuovere l’economia circolare nelle aree: plastica, rifiuti alimentari, materie prime critiche, costruzioni e demolizioni, biomassa e prodotti bio-based. Come evidenziato nel dossier dell’European Parliamentary Research Service, però, rispetto alla proposta precedente gli obiettivi di gestione dei rifiuti sono stati rivisti al ribasso, sono state introdotte deroghe per cinque Stati, l’obiettivo di incrementare la produttività delle risorse del 30% entro il 2030 è stato eliminato e quello auspicabile di ridurre i rifiuti alimentari del 30% entro il 2025 non figura più. Peccato. Perché una piena transizione verso un’economia circolare potrebbe allentare le pressioni sull’ambiente con ricadute positive sugli ecosistemi, la biodiversità e la salute umana. A titolo esemplificativo: la piena attuazione degli obiettivi in materia di gestione dei rifiuti ridurrebbe del 27% l’inquinamento del mare entro il 2030. Potrebbe anche aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, dal momento che l’UE importa attualmente, in equivalente materie prime, circa la metà delle risorse che consuma. E le imprese avrebbero risparmi sulle spese per i materiali tra i 250 e i 465 miliardi di euro l’anno (ovvero tra il 12% e il 23% secondo la Fondazione Ellen MacArthur), nonché trarre benefici dalle innovazioni organizzative e di prodotto. Sul versante dell’occupazione, secondo uno studio del Worldwide Responsible Accredited Production (WRAP): in attività connesse con l’economia circolare (riparazioni, rifiuti e ricilaggio, noleggio e leasing) sono già impiegate almeno 3.4 milioni di persone. Entro il 2030, la diffusione dell’economia circolare potrebbe creare da 1.2 a 3 milioni nuovi posti di lavoro in Europa e ridurre i disoccupati dalle 250.000 alle 520.000 unità. Tutti obiettivi da inserire nella prossima revisione della strategia Europa 2020.
Giuliana Zoppis