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Il Cucchiaio d’Argento dedica quattro recensioni ai vini de La Raia
Stefano Caffarri, noto giornalista enogastronomico e direttore del Cucchiaio d’argento, ha recensito positivamente i nostri vini sul portale cucchiaio.it, in una sezione dedicata.
In particolare, ha descritto così il Gavi Docg 2011:
tra le mani (e nel bicchiere) il Gavi quotidiano, un sorso che non cerca l’estasi, ma una serenità praticabile. Paglierino classico, scarico, attraversato da riflessi grigi. Appena cupo, ecco. Naso compreso e ritirato, senza effluvi mozzafiato, ma delicato e “ordinato”. Più fiore che frutto, più vegetale, più una traccia lieve che ricorda le colle, i vinili. Piccolissima. Il limone, infine. Poi l’assaggio deciso e preciso, che sale rapido fin dall’abbocco, un poco astringente. Freddo. La progressione non ha momenti di pausa, ed arriva al centro citrino, elettrico, diritto. Poi la discesa verso il finale che la nervatura acida tiene in piedi a lungo, abbracciandolo con vigore. Bicchiere gaudente.
L’assaggio è poi stato dedicato al Gavi Docg Riserva 2010:
Questa Riserva è vinificata in tutto acciaio, e offre un colore paglierino scarico, setoso. Ha profumo fine e deciso al contempo, con frutta gialle mature e fiori bianchi, e una virgola fumè che chiude un abbraccio lieve ma fermo. Forse un taglio d’erba in conclusione. L’assaggio è appena più grasso di quel che t’aspetti da un Gavi, con una sensazione tattile incline alla piacevolezza del sorso, equidistante da uno zucchero disteso e una parte elettrica viva e brillante. Alla fine sale una vibrazione mentolata che rinfresca, anzi raffredda il sorso allungandolo, senza appuntirlo. Bicchiere bello.
La degustazione è proseguita con il nostro vino più importante, il Gavi Docg Pisé:
Il nome è quello di una tecnica costruttiva tradizionale locale, la terra battuta: la Raia, che coltiva i suoi vigneti con il metodo agricolo biodinamico, l’ha ri-utilizzata nella propria cantina. Questa versione del Gavi resta sui lieviti per 12 mesi, e cerca una personalità propria nella panoplia dei vini dell’azienda. Eccolo, distinguersi per un paglierino chiaro ma non pallido, e una matericità più spessa. Il profumo è intenso e profondo, financo complesso: frutti gialli maturi – una pesca percoca assai dritta – assieme a bucce candite e un’esitazione medicamentosa sul finale, appena abbozzata. L’assaggio prende subito con un’idea di succo precisa e sostenuta, librata a pochi millimetri dalle dolcezze di sottofondo. Una zuccherosità che l’alcool non sublima del tutto, e rimane appena ad un sorso carnoso e quasi masticabile. Tanta roba gialla, da rimanere a lungo nel ricordo: dove s’interrompe la linea della bevibilità s’innesta quella della forza, magari a prezzo di una virgola d’eleganza.
Caffarri ha poi concluso con la degustazione del nostro grande rosso: la Barbera Doc Piemonte Largé
Largè chiama la parte di Barbera che dopo una fermentazione tradizionale passa in barrique, per 18 mesi. La Raia lavora in regime bio, e cura la cantina adottando tecniche di rispetto. Il rubino è limpidissimo, assai brillante, baciato da una delicata intenzione porpora, in lontananza. Il colore è pieno senza essere profondo, e riluce. Il naso è bello, non privo di grazia, non ostante l’abbocco deciso e il profilo asciutto. Evolve con il tempo: se all’apertura esala sensazioni quasi muschiose, umide, poi svettano cose più tese di alcool e spiriti, un’inezia smaltata, e infine uno slargo che richiama l’albedo delle arance, fresco. E piace il sorso, pertinente: mai liscio, risale dal primo istante con una progressione decisa, che accoglie qualche ruvidezza, rotola sulle parti dure, cammina sulla vibrazione acida e si trova nel centro bello dritto. In chiusura un gesto più rapido del previsto, come un amico che ti saluta con una pacca sulla spalla prima di quando te l’aspetti. Bicchiere pronto, che non ha bisogno ancora di lunghe attese per donare sorrisi.